Aspromonte Greco (area Grecanica)
Escursione a Bova Superiore,
Ghorio di Roghudi, Roccaforte del Greco e Galliciano’ tra cultura e sapori
locali
La zona è culla secolare della minoranza linguistica
ellenofona di Calabria. Il versante Jonico meridionale dell’Aspromonte
custodisce infatti immutate le tracce della sua antica natura di crocevia sul
bacino del Mediterraneo. Quest’area ha assunto per molti secoli il ruolo di
vera e propria isola e roccaforte culturale per una serie di motivi come la
precarietà storica dei collegamenti ed un entroterra particolarmente impervio.
L’abitato per quanto urbanizzato si trova in gran parte nei confini del Parco nazionale
dell’Aspromonte, è un pacifico e silenzioso ambiente naturale. I centri di
Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco, Roghudi mantengono le più evidenti
tracce della cultura magno-greca. Il greco di Calabria parlato qui è oggetto di
studi e ricerche nonché motivo di scambio culturale e di iniziative a tutela
delle minoranze linguistiche storiche.

“Ma c’è qualcosa che collega il presente al passato con ancora più
tenacia. Per esempio la “bovesia”, detta anche “area grecanica”, comprendente i
centri di Bova, Roghudi, Roccaforte del Greco, Condofuri, Gallicianò. Un
fazzoletto di terra entro il quale si conserva, grazie all’isolamento
geografico e alla passione dei suoi abitanti, la più autentica impronta di
grecità. Parecchi anziani sanno parlare ancora la lingua grecanica, molto
simile al greco antico, e anche se questo tramando culturale ha subito
un’erosione considerevole di generazione in generazione, oggi pare ci siano le
condizioni per poter far vivere quei luoghi grazie a una nuova consapevolezza,
soprattutto delle giovani generazioni.”
BOVA Superiore
Ai piedi di un picco
roccioso tra verdi giardini, palme e bergamotti sorge il grazioso borgo di Bova Superiore,
dominato dalle rovine di un antico castello normanno. Uno dei principali centri
grecanici con iniziative volte a promuovere e mantenere in vita le tradizioni
culturali. Tra gli eventi più famosi, segnaliamo il Festival Grecanico che si tiene ogni anno nel periodo tra
giugno e luglio, quando l’affluenza dei turisti è maggiore rispetto al resto
dell’anno.
Il grazioso borgo di Bova Superiore ha origini antiche. La
leggenda narra che il piccolo comune sia stato costruito per volontà di una
regina armena che avrebbe condotto il suo popolo sul Monte Vùa dove, da come si
evince dal nome stesso, si portavano i buoi al pascolo. Diversi i monumenti da
vedere e ammirare nell’incantevole borgo di Bova Superiore.
Vi condurremo in una passeggiata tra i vicoli storici di
questo grazioso borgo. Da non perdere lo spettacolo panoramico dalla famosa balconata di Bova,
dalla quale è possibile ammirare e perdersi su tutto l’arco costiero
sottostante. Altrettanto importante una visita presso l’antica Cattedrale di
origine seicentesca ed edificata sulle spoglie di un’antica Chiesa Bizantina.
Tra le opere più
importanti custodite all’interno della struttura a tre navate di tipo
basilicale, troviamo la statua in marmo del 1584 della Madonna col Bambino, la Cappella del Sacramento.
Diversi scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce diverse opere
dell’antica chiesa normanna e monumenti lapidari.
Da visitare a Bova
Superiore la Chiesa di San Leo, con una pianta a una sola navata e cappelle, un
altare maggiore di epoca barocca con la statua di San Leo in marmo bianco,
posta all’interno di una nicchia. Particolare la statua, attribuita al Bernini,
in cui il santo regge un’accetta rotta nella mano destra.
La passeggiata nel quartiere storico di Bova prosegue verso la Chiesa del Carmine,
in stile tardo rinascimentale, con un portale in pietra costruito da artigiani
locali. Lo stemma della famiglia Mesiani presente sulla facciata testimonia
l’appartenenza della Chiesa.
In cima a uno sperone
roccioso è possibile ammirare le rovine del Castello
Normanno, con la Torre realizzata come punto di guardia su una delle
quattro porte che si intervallavano lungo le mura della città.
Seppur siano state
quasi distrutte dai forti terremoti che colpirono diverse zone del Reggino nel
1783, 1908 e 1928 la Chiesa dello Spirito Santo di epoca tardo rinascimentale e
la Chiesa di San Rocco, sono altri monumenti che rappresentano lo splendore
antico di questo borgo. È proprio nella Chiesa di San Rocco che è possibile
assistere alle funzioni religiose secondo il rito greco - bizantino.
Pietre e mattoni con
decorazioni di lesene, cornici e portali maestosi caratterizzano le abitazioni
e i palazzi antichi che si dispongono nel centro storico.
È probabile che una
passeggiata tra i monumenti più belli di Bova porti anche un po’ di fame. Se ne
avete la possibilità, fermatevi ad assaporare il meglio della cucina locale. Le
pietanze tipiche vengono preparate con gli ingredienti della tradizione agro
pastorale del luogo, ovvero il latte di capra, l’olio d’oliva e il pomodoro,
ingredienti immancabili nelle pietanza da mangiare in Calabria.
Da Visitare:
-Palazzo Marzano
Bova (Parco Nazionale dell'Aspromonte » Calabria - Italia)
Palazzo
Marzano (IXX sec. ) è un palazzo nobiliare antica dimora dell’omonima famiglia
e ora sede del Municipio.
Castello Normanno
Il
Castello Normanno sorge in cima ad uno sperone roccioso e i pochi ruderi
rimasti sono insufficienti per poter ricostruire la planimetria dell’insieme.
Gli ambienti ancora leggibili sono siti a quote
diverse, ma è difficile comprendere la loro funzione anche per il fatto che si
è avuta un’alterazione dell’orografia originale del terreno.
Al castello si addossavano le mura di cinta
della città di cui faceva parte una torre, a pianta circolare (Torre Normanna)
ancora oggi esistente.
Al castello sono legate diverse leggende.
Sulla cima, scavata in un macigno, è ancora
visibile l’orma di un piede di donna.
L’orma sarebbe appartenuta alla Contessa Matilde
di Canossa, che aveva ricevuto il castello dal Pontefice Gregorio VII.
Se l’orma quindi corrispondeva al piede di una
fanciulla, questa avrebbe scoperto di discendere dalla Contessa di Canossa.
Un’ altra leggenda parla dell’orma della Regina.
Una Regina greca pare avesse fatto costruire il
castello e se l’orma fosse coincisa con quella del piede di una giovane
fanciulla, la fortunata avrebbe trovato il tesoro della regina.
TORRE NORMANNA
La
Torre Normanna (sec. XI) è posta a guardia di una delle quattro porte che
permettevano l’accesso alla città sul limite meridionale del recinto della
Giudecca.
È l’unica torre rimasta a testimonianza
dell’antica cinta muraria.
PALAZZO MESIANI MAZZACUVA
Palazzo
Mesiani Mazzacuva (fine XVIII sec.) è situato nei pressi delle antiche
strutture difensive della città.
Il prospetto principale presenta
un’articolazione realizzata, secondo leggi di simmetria, con l’uso della
muratura a faccia mista.
Le due paraste d’angolo definiscono l’edificio
che presenta cornice marcapiano e cornice conclusiva all’interno della quale si
impostano finestre e balconi.
Il portale di ingresso in stile tardo
rinascimentale è realizzato in pietra chiara e presenta un arco affiancato da
paraste con trabeazione.
Il palazzo di proprietà comunale attualmente è
utilizzato per mostre e eventi culturali.
PALAZZO TUSCANO
Palazzo
Tuscano (XIX sec) è un palazzo nobiliare antica dimora dell’omonima famiglia
che verrà adibito a sede del Centro Visita del Parco Nazionale d’Aspromonte.
PALAZZO NESCI
Palazzo
Nesci (inizio XVIII sec.) è ubicato al centro del paese nella piazza
principale.
Fu danneggiato notevolmente dal terremoto del
1783 ma poi venne interamente restaurato.
Il palazzo, realizzato con due corpi di fabbrica
con impianto ad L, è posto su due piani, ha una pianta quadrata con corte
centrale.
L’intera facciata presenta un’articolazione
realizzata, secondo leggi di simmetria, con l’uso della muratura a faccia mista
con l’inserimento di grossi conci di pietra squadrata.
Ai lati del portale con arco a tutto sesto, due
paraste sostengono una trabeazione sulla quale è posto lo stemma della famiglia
Nesci.
Verso la fine del 1800 fu costruito un voltone
laterale che collega il piano superiore del palazzo con un terrazzo su uno
sperone di roccia, dalla bellissima veduta panoramica verso il mare.
Trasferimento
attraverso le strade per visitare :
GHORIO di ROGHUDI
Il termine Roghudi deriva dal greco Richùdi e significa “rupestre”, come
si volesse indicare l’ambiente in cui è stato costruito. La vecchia Roghudi
sorge su uno sperone roccioso che come un’isola si innalza sulle bianche ghiaie
dell’immenso letto della fiumara Amendolea . Tutto l’abitato è in posizione
precaria ,con le case edificate sull’orlo di precipizi, sovrastato dalle grandi
masse del Monte Cavallo ,il quale raggiunge i 1331 metri di altezza. Nel 1084
apparteneva al feudo di Bova ma verso la fine del XII° secolo passò a far parte
dello Stato dell’Amendolea. Nel 1624 dal Casato dei Mendoza veniva venduto ai
Ruffo di Scilla rimanendo sotto il loro dominio sino al 1806. Vi si arriva
partendo da Melito Porto Salvo dirigendo verso Roccaforte del Greco e superando
questa ultima ,con una discesa di altri 8 Km , la distanza complessiva è di 38
Km. Un posto, la vecchia Roghudi, dove a quattro anni si incominciava ad
apprendere l’arte della pastorizia e dell’agricoltura, sacrificando le
possibilità di crescita culturale che si potevano apprendere a scuola. Solo i
corsi serali organizzati dagli insegnanti del tempo, permettevano di superare
solo in parte, lo stato di analfabetismo in cui si trovava la popolazione
rogudese. In paese si parlava il greco, una lingua che ha mantenuto la sua
vitalità anche se le zone sono state oggetto di diverse culture
(Greca,Romana,Bizantina e Latina), 3 di diverse occupazioni e di molte
influenze. Questa vitalità è stata persa da alcuni decenni rimanendo confinata
in paesi di montagna dove la comunicazione era molto difficile ed i mezzi per
poterla far crescere erano notevolmente scarsi. GHORIO DI ROGHUDI : Poco
distante da Roghudi si trova la frazione di Ghorio ,un piccolo nucleo di case
ormai anch’esse abbandonate. Da Ghorio è possibile scorgere un grosso masso con
delle groppe ”la Rocca tu Dracu” che secondo la leggenda le groppe paragonate a
delle piccole caldaie “Caddareddhi”, servivano al nutrimento del drago, custode
di un tesoro. “La leggenda”. Il
drago, oltre ad essere cieco era custode di un tesoro, il quale veniva
assegnato, a chi riusciva a superare una prova di coraggio. La prova consisteva
nel sacrificio di tre esseri viventi di sesso maschile: un bambino appena
nato,un capretto e un gatto nero ,senza nemmeno un pelo bianco. Per secoli
nessuno si sognò di sfidare il drago, fino al giorno in cui in paese nacque un
bambino malformato, l’ostetrica lo avvolse in un panno e lo consegnò a due
uomini perché se ne sbarazzassero . Ma costoro vedendosi tra le mani quella
povera creatura si ricordarono della leggenda e lestamente si procurarono anche
il capretto e il gatto nero . Tutto era pronto per la sacrificazione , uccisero
il capretto e il gatto nero ,ma quando arrivò il turno del bambino , si sollevò
una tempesta di vento che scaraventò, quei sciagurati contro le rocce uccidendo
uno di essi. Da allora nessuno pensò più al presunto tesoro, anche perché
l’uomo sopravvissuto alla tempesta fu perseguitato dal diavolo sino alla sua morte.
“Le anarade”. Secondo gli anziani
abitanti di Roghudi, le anarade erano
delle donne aventi i piedi a forma di zoccoli come i muli e vivevano nella
contrada di “Ghalipò” di fronte Roghudi. Le anarade
, cercavano di attirare le donne del paese, affinché si recassero al fiume a
lavare i panni, con l’intento di ucciderle, così gli uomini del paese potevano
accoppiarsi solo con loro. Si racconta che le anarade ,per attirare le donne ,
usavano ogni strategia, come per esempio la trasformazione della voce. Per
proteggersi dalle anarade gli
abitanti del paese ,fecero costruire tre cancelli, collocandoli in tre differenti entrate : uno a
“Plachi”, “uno a Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea” ,che in effetti ancora
esistono. L’alluvione del Settanta
rappresenta il peggior momento della storia di Roghudi e Ghorio ,in quanto,
dopo secoli di resistenza presso i vecchi centri abitati, furono costretti ad
andarsene, causa le frane inarrestabili. Così il sedici Febbraio del 1971 il
Sindaco, firmava l’ordinanza con la quale imponeva lo sgombero di tutte le
famiglie presenti a Roghudi, per pericolo di frane e di conseguenza per
salvaguardare l’incolumità pubblica.
“I GRECANICI”. Le varie dominazioni hanno creato, tra i boschi della
Sila Greca, nell’Aspromonte, lungo la costa Jonica e sulle pendici della costa
Tirrenica, delle vere e proprie isole linguistiche dal fascino antico, mantenendo
vivi, stili di vita e tradizioni di una civiltà antichissima. In queste realtà,
si scopre, il mondo arcaico delle comunità grecaniche, i discendenti diretti
dei greci. Grande è stato lo stupore di quei soldati italo-grecanici, durante
la seconda guerra mondiale, di sentirsi in Grecia “ a casa sua “ e dei greci di
trovare soldati italiani dalle stesse caratteristiche somatiche, che portavano
lo stesso cognome e parlavano la stessa lingua. Oggi, cioè i parlanti del
dialetto greco che nel XVI secolo popolavano ben venti paesi, sono solo 5000 e
circoscritti a cinque comuni : Bova, Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco
e Roghudi. Le opinioni sulla origine della loro parlata sono fondamentalmente
due:
a) quella che l’attribuisce alla dominazione bizantina (X-V secolo
d.C.);
b) quella che l’attribuisce alla
lingua parlata dai coloni del V secolo a.C, cui si deve la splendida civiltà
della Magna Grecia e la fondazione di città famose nell’antichità come Reggio,
Locri, Crotone e Sibari. Delle due teorie, oggi, la seconda sembra più
accettabile .
”CENNI STORICO-URBANISTICI SULLA CITTA’ GRECA”.
I Greci, come tutti i popoli del Mediterraneo, vivevano, per la maggior
parte del loro tempo, all'aria aperta e, spesso, entravano nelle abitazioni
solo per dormire: d'estate, inoltre, capitava che ci si coricasse sulle
terrazze per avere meno caldo,nello stesso tempo, i Greci, permeati di profonda
religiosità, preferivano abbellire i propri templi che le proprie dimore, per
timore che gli dei potessero punire la loro sfrontatezza (Hubris): è noto che
una delle massime preferite dai Greci era proprio il famoso motto "Medèn
Agan, nulla di troppo". Le strade non erano lastricate, esisteva solo una
canalizzazione a cielo aperto e, dunque, le case non erano rifornite d'acqua da
un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento
idrico si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario
tanto portante da essere eletto direttamente dai suoi concittadini e non
estratto sorte come la maggior parte dei suoi colleghi. La scarsità d’acqua e
la difficoltà d’approvvigionamento favorirono l’insorgere di malattie .
GLI INTERNI : le case erano veramente modeste e solo poche
decorose"; sappiamo inoltre che venivano scavati veri e propri rifugi
nella roccia (nel quartiere di Coile, che significa appunto
"scavato") e che molte abitazioni venivano semplicemente addossate
alla roccia.Oltre a queste dimore primitive si estendevano i quartieri
popolari, dove la maggior parte delle case erano di modestissime dimensioni e
costituite solamente da un unico piano con due o tre stanze, che, per lo più,
venivano affittate agli stranieri. Questo tipo di abitazione era molto
semplice, edificata in legno, pietre legate da calcina, oppure mattoni crudi:
le pareti risultavano così facili da perforare che i ladri non si disturbavano
a sfondare porte e finestre, ma praticavano direttamente un foro nell'esile
muro (per questo motivo erano chiamati "toichorichoi", ovvero
"foratori di muri"). La fragilità di queste pareti, tuttavia,
talvolta poteva risultare utile agli abitanti, come Tucidide afferma a
proposito dei Plateesi: invasi dai Tebani, forarono i muri delle case contigue
fra di loro e riuscirono a radunarsi in segreto (Tuc., 2,3).La porta, nella
descrizione che ci fornisce Plutarco, si apriva verso l'esterno e, prima di
uscire, era opportuno bussare per evitare di investire il malcapitato passante.
1 tetti erano a terrazza e venivano sfruttati come veri e propri letti durante
l'estate. Le finestre (thirides) erano di dimensioni veramente ridotte, poiché
i Greci non conoscevano l'uso del vetro trasparente e cercavano di ridurre al
minimo i problemi legati al cattivo tempo: bastava un panno per otturare quei
piccoli lucernari; l'uso di finestre piccole e di muri spessi serviva anche a
limitare la calura estiva all'interno delle abitazioni. Quando il proprietario
di queste abitazioni date in affitto non riceveva il regolare pagamento, non si
rivolgeva certo al suo avvocato per un'ingiunzione di sfratto: faceva togliere
tutte le tegole del tetto, scandinava la porta di ingresso o chiudeva l'accesso
al pozzo, finché il suo sgradito inquilino non si fosse deciso a saldare il
debito o lasciare libera la casa. Per la maggioranza dei cittadini ateniesi, i
cibi dovevano essere cotti fuori casa, all'aperto, come avviene ancora in
numerosi villaggi greci: prima del IV secolo a.C. non si ha notizia di
abitazioni dotate di cucina e, comunque, mancava un braciere stabile in una
stanza, a causa del problema dell'eliminazione del fumo. Si accendeva un fuoco
all'esterno della casa e lo si portava all'interno solo quando si era ormai
prodotta la brace e si era ridotta la quantità di fumo; per eliminare quello
residuo si aprivano i fori di aerazione (opai) o si utilizzavano i kapnodokè
(condutture per il fumo). Oltre a queste abitazioni private, dovevano esistere
anche veri e propri condomini (synoikia, case collettive), come possiamo
desumere da Eschine nella sua orazione "Contro Timarco". Per renderci
conto di come potesse apparire una casa di cittadini facoltosi, però, è
necessario uscire dall'Attica, dove non sono mai state trovate negli scavi, e
recarsi ad Olinto: le abitazioni di questa città, infatti, ci sono giunte, in
alcuni casi, in un relativamente ottimo stato di conservazione.
Esse avevano una pianta approssimativamente quadrata e tutte le stanze
si aprivano su un portico interno ( pàstas ), preceduto da un cortile ( aulè )
e da un vestibolo (protiron). Il portico interno era orientato in pieno mezzogiorno,
come consiglia Socrate ( Xen., Memor. 3,8,9 ): "Il sole si infiltra negli
appartamenti d'inverno, lasciandoci in ombra d'estate, perché passa sopra le
nostre teste". Nei secoli successivi all'età di Pericle il pastas venne
dotato di portici su più lati ed un peristilio. Era presente un salotto (
diaiteterion, cioè "luogo per passare il tempo" ), collocato a nord,
e la sala decorata da mosaici dedicata esclusivamente agli uomini ( androon ),
dove si tenevano i banchetti. Gli altri locali erano l'òikos, la sala da pranzo
per tutta la famiglia, la sala da bagno e la cucina. Il pianterreno, talvolta,
era fornito anche di un laboratorio o di una dispensa. Le carriere da letto, il
thalamos (camera nuziale), l'appartamento delle donne (gynaikèion) e le cellette
per gli eventuali schiavi erano al primo piano. Il bagno veniva costruito
accanto alla cucina, in modo che quest'ultima diffondesse nel locale attiguo il
suo calore.Il primo piano delle case, talvolta, veniva dotato di balconi, che,
però, lo stato considerava illegali, perchè sporgevano rispetto alla strada.La
decorazione degli esterni e degli interni era molto semplice e consisteva solo
in uno strato di calce, come ci conferma Plutarco, descrivendo la casa di
Focione, che era "semplice e nuda" ( Plut., Foc., 18 ); sappiamo,
però, che le case di Olinto erano arricchite da mosaici ed il poeta Bacchilide
(sicuramente esagerando) parla di abitazioni in cui splendevano oro ed avorio (
Ateneo, 2,39 ). Le case dei ricchi erano ricoperte da tappezzerie sul muri ed
avevano soffitti decorati. Abitazioni di questo tipo, tuttavia, erano quasi
inesistenti ad Atene nel V secolo: la maggior parte delle abitazioni
assomigliava alle capanne descritte in precedenza e non conteneva nemmeno il
bagno.. Da: “La casa greca di Andrea Zoia”.
Ci trasferiamo a ROCCAFORTE DEL GRECO
Le
origini di Roccaforte del Greco, si perdono nell'antichità, ma certamente
risalgono al periodo della Magna Grecia, quando un gruppo di coloni provenienti
appunto dalla Grecia del periodo dorico, fondarono le città e i paesi nei quali
tuttora viviamo. Non ci sono notizie precise riguardo quel periodo, solo
attraverso antichi documenti si riesce a trarre qualche notizia di personaggi e
delle situazioni di quei tempi.
Comunque la storia di Roccaforte del Greco, in
grecanico VUNI', è certamente legata agli altri paesi fondati dagli antichi
coloni greci. A differenza delle popolazioni che si stanziarono sulle rive del
mar Ionio oppure in basso sulla fiumara dell'Amendolea, i nostri antichi
progenitori, pensarono bene, allo scopo di difendersi dalle incursioni delle
popolazioni barbare, di ritirarsi su queste montagne, facilmente difendibili ed
ottimo punto di avvistamento verso probabili minacce provenienti dal mare. Più
tardi, nell'epoca bizantina, sorsero parecchi monasteri, nei quali i monaci,
assiduamente riproducevano numerosi codici, sparsi tutt'oggi nelle più famose
biblioteche del mondo. I monasteri e le abbazie che sorsero in questo periodo,
infondevano sicurezza alle popolazioni, per cui, attorno ad esse, sorsero dei
veri e propri villaggi, nei quali si svilupparono quegli antichi mestieri che
sono sopravvissuti fino ai nostri giorni. Una di queste abbazie portava il nome
dell'Aghia Triadas, cioè della SS Trinità, che inizialmente era di spiritualità
orientale. Solo quando poi venne introdotto il rito latino, fu nominato San
Rocco protettore di Roccaforte del Greco, mentre precedentemente, lo erano Dio
stesso, la SS Trinità e lo Spirito Santo in particolare.
Nel tardo medioevo, la popolazione incominciò ad
aumentare, perché l'isolamento di questi territori, garantiva una sufficiente
protezione contro le epidemie che nel secolo XVII infestavano gran parte
dell'Italia meridionale.
Tra il IX e l´XI secolo il territorio
dell´attuale comune di Roccaforte del Greco era una zona malarica che ricadeva
nel dominio di Bova. Si ha notizia, riguardo a questo periodo, della presenza
di pastori nomadi, ma non di un vero e proprio centro abitato: non vi è infatti
la certezza che vi fosse stato creato un municipio. Diventato casale di
Amendolea, Roccaforte fu fino agli inizi del 1400 sotto il dominio dell´omonima
famiglia. Il feudo poi transito´ attraverso i Malda de Cardona, gli Abenavoli
del Franco, i Martirano, i de Mendoza, i Sylva y Mendoza. Ultimi feudatari
furono i Ruffo di Bagnara che vi esercitarono i diritti dal 1624 al 1806, anno
dell´abolizione del sistema feudale. Controversa, come per tutti i paesi
dell´area grecanica, è la data in cui i greci si stanziarono in questo
territorio. Sulla base di considerazioni linguistiche, c´è una tesi che
propende per una continuità diretta con le colonie magno-greche, un´altra
risale al periodo bizantino. Non è del tutto improbabile neanche l´ipotesi che
a stanziamenti più antichi si siano sovrapposti arrivi piu recenti. Risale
intorno al 1535 la cosiddetta “quinta colonizzazione”, un´ondata di circa
cinquecento persone provenienti da Corone, mentre l´ultimo rilevamento in tal
senso è documentato dal tedesco Karl Witte e risale al 1821. Come molti altri paesi
della provincia di Reggio Calabria, Roccaforte del Greco rimase fortemente
provata dal terremoto nel 1783, ribattezzato il “ flagello” per il gran numero
di vittime provocate. Nel 1807, con la legge francese, diventò università nel
governo di Bova. Il decreto istitutivo dei comuni e dei circondari (4 maggio
1811) gli diede l´autonomia amministrativa. Fino al regio decreto dell´8 maggio
1864 è stato menzionato semplicemente come Roccaforte. La specificazione è
stata aggiunta successivamente in quanto paese di lingua greca. Gli abitanti lo
chiamano Vuni, che corrisponde al neo-greco Bouv´ (monte). Secondo l´Alessio e
il Rohlfs Roccaforte si rifà al calabrese rocca (roccia, sasso).
Arrivando ai nostri giorni, Roccaforte del Greco
ha visto invece uno spopolamento, dovuto alle emigrazioni delle giovani leve,
che espatriavano o andavano a lavorare nel nord industrializzato, per cui il
paese è oggi popolato da anziani e da un discreto numero di giovani, anche con
un alto grado d'istruzione (a dispetto delle poche centinaia di residenti),
desiderosi di riscoprire e valorizzare le proprie origini e tradizioni
attraverso le quali veder nuovamente prosperare l'antica VUNI'.
Roccaforte del Greco
è un comune di circa 800 abitanti che si trova nell’area Grecanica della
provincia di Reggio Calabria posto nel cuore dell’Aspromonte, Roccaforte del
Greco sorge ad oltre 980 mt s.l.m. – L’economia di Roccaforte del Greco è
legata principalmente all’agricoltura ed all’allevamento. Le origini del borgo
sono molto antiche e alcuni studiosi le fanno risalire al periodo della
dominazione romana. San Rocco, festeggiato il 16 agosto è il patrono di
Roccaforte del Greco.
GALLICIANO’
Lungo
il versante jonico meridionale di Reggio Calabria, precisamente nella vallata
della fiumara dell’Amendolea, vive la comunità dei cosiddetti GRECANICI o GRECI
di CALABRIA. Secondo molti studiosi, essi sono discendenti diretti dei Greci
della Magna Grecia. Fanno parte di questa comunità i comuni di Roghudi,
Roccaforte del Greco, Bova e Condofuri con le prestigiose e tipiche frazioni di
Amendolea e di Gallicianò. L’emigrazione massiccia e l’incomprensione della
cultura italiana, indussero i Greci di Calabria a rinunziare alla loro
tradizione ma per fortuna, grazie ad un gruppo di studiosi, si riuscì a
conservare i costumi e la parlata greca. Diversi movimenti e associazioni di
valorizzazione della cultura regionale, comprese che tali minoranze andavano
tutelate e tra le tante iniziative per la conservazione del grecanico, sono
significativi gli incontri avuti durante questi ultimi anni, tra i Greci di
Calabria e i Greci della Grecia, avvenuti sia in Calabria che oltre lo Jonio. A
tale proposito da segnalare il gemellaggio effettuato con il Comune di ALIMOS
presso Atene, direttamente voluto dalla chiesa ortodossa ed in particolare dai
monaci del monte Athos, per poter praticare il rito cristiano ortodosso a
Gallicianò. Importanti sono le iniziative promosse dal FESTIVAL DELL'ARTE
MUSICALE GRECANICA, dai molti convegni di studi e di dialettologia che ogni
anni si organizzano, fino ad arrivare ai confronti folkloristici e alla poesia
dialettale greca. Si stima che tutt’oggi, siano circa 2500 le persone che mantengono
ancora viva la tradizione del Greco di Calabria in tutta la comunità.
LA LOCALITA’
Gallicianò dista circa 54
Km da Reggio Calabria, arrivati nel Comune di Condofuri Marina si imbocca il
bivio per Amendolea – Chorio fino all’altezza del ponte Mangani. Mantenendo la
sinistra si percorrono altri 7 Km di panoramica salita fino ad arrivare
nell’unico spiazzo disponibile per lasciare le auto e proseguire a piedi.
La
frazione, isolatissima, conta quasi 300 abitanti, spesso è tagliata fuori dalla
civiltà per le molteplici frane che si ripercuotono durante gli inverni. Il
paesino, ricco di vegetazione quali il mandorlo, la ginestra e il ficodindia, è
affacciato su un balcone di roccia che domina la fiumara dell’Amendolea, dedito
fin dall’antichità alla pastorizia e all’agricoltura, se ne avrete l’occasione,
vale la pena di assaggiare la ricotta… Sopravvive ancora oggi l’artigianato
tessile e dell’intaglio in legno, infatti secondo le antiche tradizioni,
vengono lavorate la ginestra e la lana con i motivi ornamentali dei rombi e
delle croci, spesso contornate da rettangoli e quadrati. Chi percorre le
stradine di Gallicianò, resterà affascinato dagli odori e dai panorami
mozzafiato verso la vallata e la montagna, sia per la particolarità che
assumono i colori all’alba e al tramonto, sia per l’ospitalità profusa dai suoi
abitanti che spesso, intrattengono il turista con canti tipici suonati da
strumenti musicali costruiti proprio da loro come le ciaramelle e il tamburello
LA STORIA
Gallicianò
già sede municipale verso la fine del 700, è frazione del Comune di Condofuri,
situato a 620 m. s.l.m., su uno sperone roccioso del versante destro della
fiumara dell’Amendolea che nasce presso Montalto (m. 1956), attraversando i
territori di Roccaforte, Roghudi e Condofuri per poi sfociare nel Mar Jonio. Il
documento più antico sul paesino, risale all’anno 1060, tuttavia è la lingua a
fornire elementi cronologici più antichi, infatti, per la terminologia,
risaliamo all’VIII sec. a.C. Si pensa che Gallicianò sia stato fondato dagli
abitanti di Amendolea, desiderosi di spostarsi verso l’interno per migliorare
le loro condizioni di vita e per sfuggire alle incursioni dei turchi, che
presentavano una vera e propria minaccia per i villaggi costieri e collinari.
Nel
1783 fu gravemente danneggiato dal terremoto ma riuscì a mantenere la sua prima
struttura paesistica. Le alluvioni del 1951 e del 1957, costrinsero molti
abitanti di Gallicianò ad abbandonare il paese . Oltre al terremoto e alle
alluvioni, si susseguirono epidemie ed incendi, che determinava il progressivo
abbandono delle attività agricole e pastorali, con conseguenti perdite
demografiche. I Gallicianesi però, nonostante tutto, ancora oggi vivono con
tutte le loro forze grazie al recupero dell’identità grecanica, cercando di
sopravvivere.
COSA VEDERE
Di
pregevole importanza è la Chiesa di San Giovanni Battista risalente al 700.
Interessanti sono l’ex Palazzo Municipale, le maschere apotropaiche, un marmo
raffigurante Pitagora con l’incisione “Gnoti se autori” dono proveniente da
Salonicco e il ruderi del monastero greco. In cima al paese, sorge la chiesetta
dedicata alla Madonna della Grecia che di recente, è data in affidamento ai
monaci del monte Athos che reggono il monastero di San Giovanni Therestis a
Bivongi.
All’interno vi è l’icona (cm 21 x 30) che
rappresenta la Madonna della Grecia, mentre al suo esterno, emerge un semplice
campanile circondato da antiche abitazioni abbandonate, ora in via di restauro.
Non possono mancare gli scorci panoramici che si possono ammirare da questa
altezza, infatti per la posizione geografica, Gallicianò sembra guardare
nostalgicamente verso la Grecia, con gli occhi ed i cuori di chi, ancora oggi,
ha scelto di testimoniare e di difendere ad ogni costo, questo “eremo
naturale”.
@ Carmelo PULEIO