giovedì 24 aprile 2025

Aspromonte Greco (Area Grecanica) - in Moto


Aspromonte Greco (area Grecanica)

Escursione a Bova Superiore, Ghorio di Roghudi, Roccaforte del Greco e Galliciano’ tra cultura e sapori locali



La zona è culla secolare della minoranza linguistica ellenofona di Calabria. Il versante Jonico meridionale dell’Aspromonte custodisce infatti immutate le tracce della sua antica natura di crocevia sul bacino del Mediterraneo. Quest’area ha assunto per molti secoli il ruolo di vera e propria isola e roccaforte culturale per una serie di motivi come la precarietà storica dei collegamenti ed un entroterra particolarmente impervio. L’abitato per quanto urbanizzato si trova in gran parte nei confini del Parco nazionale dell’Aspromonte, è un pacifico e silenzioso ambiente naturale. I centri di Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco, Roghudi mantengono le più evidenti tracce della cultura magno-greca. Il greco di Calabria parlato qui è oggetto di studi e ricerche nonché motivo di scambio culturale e di iniziative a tutela delle minoranze linguistiche storiche.


“Ma c’è qualcosa che collega il presente al passato con ancora più tenacia. Per esempio la “bovesia”, detta anche “area grecanica”, comprendente i centri di Bova, Roghudi, Roccaforte del Greco, Condofuri, Gallicianò. Un fazzoletto di terra entro il quale si conserva, grazie all’isolamento geografico e alla passione dei suoi abitanti, la più autentica impronta di grecità. Parecchi anziani sanno parlare ancora la lingua grecanica, molto simile al greco antico, e anche se questo tramando culturale ha subito un’erosione considerevole di generazione in generazione, oggi pare ci siano le condizioni per poter far vivere quei luoghi grazie a una nuova consapevolezza, soprattutto delle giovani generazioni.”

BOVA Superiore
Ai piedi di un picco roccioso tra verdi giardini, palme e bergamotti sorge il grazioso borgo di Bova Superiore, dominato dalle rovine di un antico castello normanno. Uno dei principali centri grecanici con iniziative volte a promuovere e mantenere in vita le tradizioni culturali. Tra gli eventi più famosi, segnaliamo il Festival Grecanico che si tiene ogni anno nel periodo tra giugno e luglio, quando l’affluenza dei turisti è maggiore rispetto al resto dell’anno.
Il grazioso borgo di Bova Superiore ha origini antiche. La leggenda narra che il piccolo comune sia stato costruito per volontà di una regina armena che avrebbe condotto il suo popolo sul Monte Vùa dove, da come si evince dal nome stesso, si portavano i buoi al pascolo. Diversi i monumenti da vedere e ammirare nell’incantevole borgo di Bova Superiore.
Vi condurremo in una passeggiata tra i vicoli storici di questo grazioso borgo. Da non perdere lo spettacolo panoramico dalla famosa balconata di Bova, dalla quale è possibile ammirare e perdersi su tutto l’arco costiero sottostante. Altrettanto importante una visita presso l’antica Cattedrale di origine seicentesca ed edificata sulle spoglie di un’antica Chiesa Bizantina.
Tra le opere più importanti custodite all’interno della struttura a tre navate di tipo basilicale, troviamo la statua in marmo del 1584 della Madonna col Bambino, la Cappella del Sacramento. Diversi scavi archeologici hanno permesso di riportare alla luce diverse opere dell’antica chiesa normanna e monumenti lapidari.
Da visitare a Bova Superiore la Chiesa di San Leo, con una pianta a una sola navata e cappelle, un altare maggiore di epoca barocca con la statua di San Leo in marmo bianco, posta all’interno di una nicchia. Particolare la statua, attribuita al Bernini, in cui il santo regge un’accetta rotta nella mano destra.
La passeggiata nel quartiere storico di Bova prosegue verso la Chiesa del Carmine, in stile tardo rinascimentale, con un portale in pietra costruito da artigiani locali. Lo stemma della famiglia Mesiani presente sulla facciata testimonia l’appartenenza della Chiesa.
In cima a uno sperone roccioso è possibile ammirare le rovine del Castello Normanno, con la Torre realizzata come punto di guardia su una delle quattro porte che si intervallavano lungo le mura della città.
Seppur siano state quasi distrutte dai forti terremoti che colpirono diverse zone del Reggino nel 1783, 1908 e 1928 la Chiesa dello Spirito Santo di epoca tardo rinascimentale e la Chiesa di San Rocco, sono altri monumenti che rappresentano lo splendore antico di questo borgo. È proprio nella Chiesa di San Rocco che è possibile assistere alle funzioni religiose secondo il rito greco - bizantino.
Pietre e mattoni con decorazioni di lesene, cornici e portali maestosi caratterizzano le abitazioni e i palazzi antichi che si dispongono nel centro storico.
È probabile che una passeggiata tra i monumenti più belli di Bova porti anche un po’ di fame. Se ne avete la possibilità, fermatevi ad assaporare il meglio della cucina locale. Le pietanze tipiche vengono preparate con gli ingredienti della tradizione agro pastorale del luogo, ovvero il latte di capra, l’olio d’oliva e il pomodoro, ingredienti immancabili nelle pietanza da mangiare in Calabria.
Da Visitare:

-Palazzo Marzano

Bova (Parco Nazionale dell'Aspromonte » Calabria - Italia)

Palazzo Marzano (IXX sec. ) è un palazzo nobiliare antica dimora dell’omonima famiglia e ora sede del Municipio.
Castello Normanno
Il Castello Normanno sorge in cima ad uno sperone roccioso e i pochi ruderi rimasti sono insufficienti per poter ricostruire la planimetria dell’insieme.
Gli ambienti ancora leggibili sono siti a quote diverse, ma è difficile comprendere la loro funzione anche per il fatto che si è avuta un’alterazione dell’orografia originale del terreno.
Al castello si addossavano le mura di cinta della città di cui faceva parte una torre, a pianta circolare (Torre Normanna) ancora oggi esistente.
Al castello sono legate diverse leggende.
Sulla cima, scavata in un macigno, è ancora visibile l’orma di un piede di donna.
L’orma sarebbe appartenuta alla Contessa Matilde di Canossa, che aveva ricevuto il castello dal Pontefice Gregorio VII.
Se l’orma quindi corrispondeva al piede di una fanciulla, questa avrebbe scoperto di discendere dalla Contessa di Canossa.
Un’ altra leggenda parla dell’orma della Regina.
Una Regina greca pare avesse fatto costruire il castello e se l’orma fosse coincisa con quella del piede di una giovane fanciulla, la fortunata avrebbe trovato il tesoro della regina.
TORRE NORMANNA
La Torre Normanna (sec. XI) è posta a guardia di una delle quattro porte che permettevano l’accesso alla città sul limite meridionale del recinto della Giudecca.
È l’unica torre rimasta a testimonianza dell’antica cinta muraria.
PALAZZO MESIANI MAZZACUVA
Palazzo Mesiani Mazzacuva (fine XVIII sec.) è situato nei pressi delle antiche strutture difensive della città.
Il prospetto principale presenta un’articolazione realizzata, secondo leggi di simmetria, con l’uso della muratura a faccia mista.
Le due paraste d’angolo definiscono l’edificio che presenta cornice marcapiano e cornice conclusiva all’interno della quale si impostano finestre e balconi.
Il portale di ingresso in stile tardo rinascimentale è realizzato in pietra chiara e presenta un arco affiancato da paraste con trabeazione.
Il palazzo di proprietà comunale attualmente è utilizzato per mostre e eventi culturali.
PALAZZO TUSCANO
Palazzo Tuscano (XIX sec) è un palazzo nobiliare antica dimora dell’omonima famiglia che verrà adibito a sede del Centro Visita del Parco Nazionale d’Aspromonte.
PALAZZO NESCI
Palazzo Nesci (inizio XVIII sec.) è ubicato al centro del paese nella piazza principale.
Fu danneggiato notevolmente dal terremoto del 1783 ma poi venne interamente restaurato.
Il palazzo, realizzato con due corpi di fabbrica con impianto ad L, è posto su due piani, ha una pianta quadrata con corte centrale.
L’intera facciata presenta un’articolazione realizzata, secondo leggi di simmetria, con l’uso della muratura a faccia mista con l’inserimento di grossi conci di pietra squadrata.
Ai lati del portale con arco a tutto sesto, due paraste sostengono una trabeazione sulla quale è posto lo stemma della famiglia Nesci.
Verso la fine del 1800 fu costruito un voltone laterale che collega il piano superiore del palazzo con un terrazzo su uno sperone di roccia, dalla bellissima veduta panoramica verso il mare.

 Trasferimento attraverso le strade per visitare :       




           
 GHORIO di ROGHUDI

Il termine Roghudi deriva dal greco Richùdi e significa “rupestre”, come si volesse indicare l’ambiente in cui è stato costruito. La vecchia Roghudi sorge su uno sperone roccioso che come un’isola si innalza sulle bianche ghiaie dell’immenso letto della fiumara Amendolea . Tutto l’abitato è in posizione precaria ,con le case edificate sull’orlo di precipizi, sovrastato dalle grandi masse del Monte Cavallo ,il quale raggiunge i 1331 metri di altezza. Nel 1084 apparteneva al feudo di Bova ma verso la fine del XII° secolo passò a far parte dello Stato dell’Amendolea. Nel 1624 dal Casato dei Mendoza veniva venduto ai Ruffo di Scilla rimanendo sotto il loro dominio sino al 1806. Vi si arriva partendo da Melito Porto Salvo dirigendo verso Roccaforte del Greco e superando questa ultima ,con una discesa di altri 8 Km , la distanza complessiva è di 38 Km. Un posto, la vecchia Roghudi, dove a quattro anni si incominciava ad apprendere l’arte della pastorizia e dell’agricoltura, sacrificando le possibilità di crescita culturale che si potevano apprendere a scuola. Solo i corsi serali organizzati dagli insegnanti del tempo, permettevano di superare solo in parte, lo stato di analfabetismo in cui si trovava la popolazione rogudese. In paese si parlava il greco, una lingua che ha mantenuto la sua vitalità anche se le zone sono state oggetto di diverse culture (Greca,Romana,Bizantina e Latina), 3 di diverse occupazioni e di molte influenze. Questa vitalità è stata persa da alcuni decenni rimanendo confinata in paesi di montagna dove la comunicazione era molto difficile ed i mezzi per poterla far crescere erano notevolmente scarsi. GHORIO DI ROGHUDI : Poco distante da Roghudi si trova la frazione di Ghorio ,un piccolo nucleo di case ormai anch’esse abbandonate. Da Ghorio è possibile scorgere un grosso masso con delle groppe ”la Rocca tu Dracu” che secondo la leggenda le groppe paragonate a delle piccole caldaie “Caddareddhi”, servivano al nutrimento del drago, custode di un tesoro. “La leggenda”. Il drago, oltre ad essere cieco era custode di un tesoro, il quale veniva assegnato, a chi riusciva a superare una prova di coraggio. La prova consisteva nel sacrificio di tre esseri viventi di sesso maschile: un bambino appena nato,un capretto e un gatto nero ,senza nemmeno un pelo bianco. Per secoli nessuno si sognò di sfidare il drago, fino al giorno in cui in paese nacque un bambino malformato, l’ostetrica lo avvolse in un panno e lo consegnò a due uomini perché se ne sbarazzassero . Ma costoro vedendosi tra le mani quella povera creatura si ricordarono della leggenda e lestamente si procurarono anche il capretto e il gatto nero . Tutto era pronto per la sacrificazione , uccisero il capretto e il gatto nero ,ma quando arrivò il turno del bambino , si sollevò una tempesta di vento che scaraventò, quei sciagurati contro le rocce uccidendo uno di essi. Da allora nessuno pensò più al presunto tesoro, anche perché l’uomo sopravvissuto alla tempesta fu perseguitato dal diavolo sino alla sua morte. “Le anarade”. Secondo gli anziani abitanti di Roghudi, le anarade erano delle donne aventi i piedi a forma di zoccoli come i muli e vivevano nella contrada di “Ghalipò” di fronte Roghudi. Le anarade , cercavano di attirare le donne del paese, affinché si recassero al fiume a lavare i panni, con l’intento di ucciderle, così gli uomini del paese potevano accoppiarsi solo con loro. Si racconta che le anarade ,per attirare le donne , usavano ogni strategia, come per esempio la trasformazione della voce. Per proteggersi dalle anarade gli abitanti del paese ,fecero costruire tre cancelli,  collocandoli in tre differenti entrate : uno a “Plachi”, “uno a Pizzipiruni” e uno ad “Agriddhea” ,che in effetti ancora esistono.  L’alluvione del Settanta rappresenta il peggior momento della storia di Roghudi e Ghorio ,in quanto, dopo secoli di resistenza presso i vecchi centri abitati, furono costretti ad andarsene, causa le frane inarrestabili. Così il sedici Febbraio del 1971 il Sindaco, firmava l’ordinanza con la quale imponeva lo sgombero di tutte le famiglie presenti a Roghudi, per pericolo di frane e di conseguenza per salvaguardare l’incolumità pubblica.
“I GRECANICI”. Le varie dominazioni hanno creato, tra i boschi della Sila Greca, nell’Aspromonte, lungo la costa Jonica e sulle pendici della costa Tirrenica, delle vere e proprie isole linguistiche dal fascino antico, mantenendo vivi, stili di vita e tradizioni di una civiltà antichissima. In queste realtà, si scopre, il mondo arcaico delle comunità grecaniche, i discendenti diretti dei greci. Grande è stato lo stupore di quei soldati italo-grecanici, durante la seconda guerra mondiale, di sentirsi in Grecia “ a casa sua “ e dei greci di trovare soldati italiani dalle stesse caratteristiche somatiche, che portavano lo stesso cognome e parlavano la stessa lingua. Oggi, cioè i parlanti del dialetto greco che nel XVI secolo popolavano ben venti paesi, sono solo 5000 e circoscritti a cinque comuni : Bova, Condofuri, Gallicianò, Roccaforte del Greco e Roghudi. Le opinioni sulla origine della loro parlata sono fondamentalmente due:
a) quella che l’attribuisce alla dominazione bizantina (X-V secolo d.C.);
 b) quella che l’attribuisce alla lingua parlata dai coloni del V secolo a.C, cui si deve la splendida civiltà della Magna Grecia e la fondazione di città famose nell’antichità come Reggio, Locri, Crotone e Sibari. Delle due teorie, oggi, la seconda sembra più accettabile .
”CENNI STORICO-URBANISTICI SULLA CITTA’ GRECA”.
I Greci, come tutti i popoli del Mediterraneo, vivevano, per la maggior parte del loro tempo, all'aria aperta e, spesso, entravano nelle abitazioni solo per dormire: d'estate, inoltre, capitava che ci si coricasse sulle terrazze per avere meno caldo,nello stesso tempo, i Greci, permeati di profonda religiosità, preferivano abbellire i propri templi che le proprie dimore, per timore che gli dei potessero punire la loro sfrontatezza (Hubris): è noto che una delle massime preferite dai Greci era proprio il famoso motto "Medèn Agan, nulla di troppo". Le strade non erano lastricate, esisteva solo una canalizzazione a cielo aperto e, dunque, le case non erano rifornite d'acqua da un sistema di tubazioni: per risolvere il problema dell'approvvigionamento idrico si faceva ricorso alle fontane, che erano affidate ad un funzionario tanto portante da essere eletto direttamente dai suoi concittadini e non estratto sorte come la maggior parte dei suoi colleghi. La scarsità d’acqua e la difficoltà d’approvvigionamento favorirono l’insorgere di malattie .
GLI INTERNI : le case erano veramente modeste e solo poche decorose"; sappiamo inoltre che venivano scavati veri e propri rifugi nella roccia (nel quartiere di Coile, che significa appunto "scavato") e che molte abitazioni venivano semplicemente addossate alla roccia.Oltre a queste dimore primitive si estendevano i quartieri popolari, dove la maggior parte delle case erano di modestissime dimensioni e costituite solamente da un unico piano con due o tre stanze, che, per lo più, venivano affittate agli stranieri. Questo tipo di abitazione era molto semplice, edificata in legno, pietre legate da calcina, oppure mattoni crudi: le pareti risultavano così facili da perforare che i ladri non si disturbavano a sfondare porte e finestre, ma praticavano direttamente un foro nell'esile muro (per questo motivo erano chiamati "toichorichoi", ovvero "foratori di muri"). La fragilità di queste pareti, tuttavia, talvolta poteva risultare utile agli abitanti, come Tucidide afferma a proposito dei Plateesi: invasi dai Tebani, forarono i muri delle case contigue fra di loro e riuscirono a radunarsi in segreto (Tuc., 2,3).La porta, nella descrizione che ci fornisce Plutarco, si apriva verso l'esterno e, prima di uscire, era opportuno bussare per evitare di investire il malcapitato passante. 1 tetti erano a terrazza e venivano sfruttati come veri e propri letti durante l'estate. Le finestre (thirides) erano di dimensioni veramente ridotte, poiché i Greci non conoscevano l'uso del vetro trasparente e cercavano di ridurre al minimo i problemi legati al cattivo tempo: bastava un panno per otturare quei piccoli lucernari; l'uso di finestre piccole e di muri spessi serviva anche a limitare la calura estiva all'interno delle abitazioni. Quando il proprietario di queste abitazioni date in affitto non riceveva il regolare pagamento, non si rivolgeva certo al suo avvocato per un'ingiunzione di sfratto: faceva togliere tutte le tegole del tetto, scandinava la porta di ingresso o chiudeva l'accesso al pozzo, finché il suo sgradito inquilino non si fosse deciso a saldare il debito o lasciare libera la casa. Per la maggioranza dei cittadini ateniesi, i cibi dovevano essere cotti fuori casa, all'aperto, come avviene ancora in numerosi villaggi greci: prima del IV secolo a.C. non si ha notizia di abitazioni dotate di cucina e, comunque, mancava un braciere stabile in una stanza, a causa del problema dell'eliminazione del fumo. Si accendeva un fuoco all'esterno della casa e lo si portava all'interno solo quando si era ormai prodotta la brace e si era ridotta la quantità di fumo; per eliminare quello residuo si aprivano i fori di aerazione (opai) o si utilizzavano i kapnodokè (condutture per il fumo). Oltre a queste abitazioni private, dovevano esistere anche veri e propri condomini (synoikia, case collettive), come possiamo desumere da Eschine nella sua orazione "Contro Timarco". Per renderci conto di come potesse apparire una casa di cittadini facoltosi, però, è necessario uscire dall'Attica, dove non sono mai state trovate negli scavi, e recarsi ad Olinto: le abitazioni di questa città, infatti, ci sono giunte, in alcuni casi, in un relativamente ottimo stato di conservazione.
Esse avevano una pianta approssimativamente quadrata e tutte le stanze si aprivano su un portico interno ( pàstas ), preceduto da un cortile ( aulè ) e da un vestibolo (protiron). Il portico interno era orientato in pieno mezzogiorno, come consiglia Socrate ( Xen., Memor. 3,8,9 ): "Il sole si infiltra negli appartamenti d'inverno, lasciandoci in ombra d'estate, perché passa sopra le nostre teste". Nei secoli successivi all'età di Pericle il pastas venne dotato di portici su più lati ed un peristilio. Era presente un salotto ( diaiteterion, cioè "luogo per passare il tempo" ), collocato a nord, e la sala decorata da mosaici dedicata esclusivamente agli uomini ( androon ), dove si tenevano i banchetti. Gli altri locali erano l'òikos, la sala da pranzo per tutta la famiglia, la sala da bagno e la cucina. Il pianterreno, talvolta, era fornito anche di un laboratorio o di una dispensa. Le carriere da letto, il thalamos (camera nuziale), l'appartamento delle donne (gynaikèion) e le cellette per gli eventuali schiavi erano al primo piano. Il bagno veniva costruito accanto alla cucina, in modo che quest'ultima diffondesse nel locale attiguo il suo calore.Il primo piano delle case, talvolta, veniva dotato di balconi, che, però, lo stato considerava illegali, perchè sporgevano rispetto alla strada.La decorazione degli esterni e degli interni era molto semplice e consisteva solo in uno strato di calce, come ci conferma Plutarco, descrivendo la casa di Focione, che era "semplice e nuda" ( Plut., Foc., 18 ); sappiamo, però, che le case di Olinto erano arricchite da mosaici ed il poeta Bacchilide (sicuramente esagerando) parla di abitazioni in cui splendevano oro ed avorio ( Ateneo, 2,39 ). Le case dei ricchi erano ricoperte da tappezzerie sul muri ed avevano soffitti decorati. Abitazioni di questo tipo, tuttavia, erano quasi inesistenti ad Atene nel V secolo: la maggior parte delle abitazioni assomigliava alle capanne descritte in precedenza e non conteneva nemmeno il bagno.. Da: “La casa greca di Andrea Zoia”.

Ci trasferiamo a            ROCCAFORTE DEL GRECO 


Le origini di Roccaforte del Greco, si perdono nell'antichità, ma certamente risalgono al periodo della Magna Grecia, quando un gruppo di coloni provenienti appunto dalla Grecia del periodo dorico, fondarono le città e i paesi nei quali tuttora viviamo. Non ci sono notizie precise riguardo quel periodo, solo attraverso antichi documenti si riesce a trarre qualche notizia di personaggi e delle situazioni di quei tempi.
Comunque la storia di Roccaforte del Greco, in grecanico VUNI', è certamente legata agli altri paesi fondati dagli antichi coloni greci. A differenza delle popolazioni che si stanziarono sulle rive del mar Ionio oppure in basso sulla fiumara dell'Amendolea, i nostri antichi progenitori, pensarono bene, allo scopo di difendersi dalle incursioni delle popolazioni barbare, di ritirarsi su queste montagne, facilmente difendibili ed ottimo punto di avvistamento verso probabili minacce provenienti dal mare. Più tardi, nell'epoca bizantina, sorsero parecchi monasteri, nei quali i monaci, assiduamente riproducevano numerosi codici, sparsi tutt'oggi nelle più famose biblioteche del mondo. I monasteri e le abbazie che sorsero in questo periodo, infondevano sicurezza alle popolazioni, per cui, attorno ad esse, sorsero dei veri e propri villaggi, nei quali si svilupparono quegli antichi mestieri che sono sopravvissuti fino ai nostri giorni. Una di queste abbazie portava il nome dell'Aghia Triadas, cioè della SS Trinità, che inizialmente era di spiritualità orientale. Solo quando poi venne introdotto il rito latino, fu nominato San Rocco protettore di Roccaforte del Greco, mentre precedentemente, lo erano Dio stesso, la SS Trinità e lo Spirito Santo in particolare.
Nel tardo medioevo, la popolazione incominciò ad aumentare, perché l'isolamento di questi territori, garantiva una sufficiente protezione contro le epidemie che nel secolo XVII infestavano gran parte dell'Italia  meridionale.
Tra il IX e l´XI secolo il territorio dell´attuale comune di Roccaforte del Greco era una zona malarica che ricadeva nel dominio di Bova. Si ha notizia, riguardo a questo periodo, della presenza di pastori nomadi, ma non di un vero e proprio centro abitato: non vi è infatti la certezza che vi fosse stato creato un municipio. Diventato casale di Amendolea, Roccaforte fu fino agli inizi del 1400 sotto il dominio dell´omonima famiglia. Il feudo poi transito´ attraverso i Malda de Cardona, gli Abenavoli del Franco, i Martirano, i de Mendoza, i Sylva y Mendoza. Ultimi feudatari furono i Ruffo di Bagnara che vi esercitarono i diritti dal 1624 al 1806, anno dell´abolizione del sistema feudale. Controversa, come per tutti i paesi dell´area grecanica, è la data in cui i greci si stanziarono in questo territorio. Sulla base di considerazioni linguistiche, c´è una tesi che propende per una continuità diretta con le colonie magno-greche, un´altra risale al periodo bizantino. Non è del tutto improbabile neanche l´ipotesi che a stanziamenti più antichi si siano sovrapposti arrivi piu recenti. Risale intorno al 1535 la cosiddetta “quinta colonizzazione”, un´ondata di circa cinquecento persone provenienti da Corone, mentre l´ultimo rilevamento in tal senso è documentato dal tedesco Karl Witte e risale al 1821. Come molti altri paesi della provincia di Reggio Calabria, Roccaforte del Greco rimase fortemente provata dal terremoto nel 1783, ribattezzato il “ flagello” per il gran numero di vittime provocate. Nel 1807, con la legge francese, diventò università nel governo di Bova. Il decreto istitutivo dei comuni e dei circondari (4 maggio 1811) gli diede l´autonomia amministrativa. Fino al regio decreto dell´8 maggio 1864 è stato menzionato semplicemente come Roccaforte. La specificazione è stata aggiunta successivamente in quanto paese di lingua greca. Gli abitanti lo chiamano Vuni, che corrisponde al neo-greco Bouv´ (monte). Secondo l´Alessio e il Rohlfs Roccaforte si rifà al calabrese rocca (roccia, sasso).
Arrivando ai nostri giorni, Roccaforte del Greco ha visto invece uno spopolamento, dovuto alle emigrazioni delle giovani leve, che espatriavano o andavano a lavorare nel nord industrializzato, per cui il paese è oggi popolato da anziani e da un discreto numero di giovani, anche con un alto grado d'istruzione (a dispetto delle poche centinaia di residenti), desiderosi di riscoprire e valorizzare le proprie origini e tradizioni attraverso le quali veder nuovamente prosperare l'antica VUNI'.

Roccaforte del Greco è un comune di circa 800 abitanti che si trova nell’area Grecanica della provincia di Reggio Calabria posto nel cuore dell’Aspromonte, Roccaforte del Greco sorge ad oltre 980 mt s.l.m. – L’economia di Roccaforte del Greco è legata principalmente all’agricoltura ed all’allevamento. Le origini del borgo sono molto antiche e alcuni studiosi le fanno risalire al periodo della dominazione romana. San Rocco, festeggiato il 16 agosto è il patrono di Roccaforte del Greco.

GALLICIANO’

Lungo il versante jonico meridionale di Reggio Calabria, precisamente nella vallata della fiumara dell’Amendolea, vive la comunità dei cosiddetti GRECANICI o GRECI di CALABRIA. Secondo molti studiosi, essi sono discendenti diretti dei Greci della Magna Grecia. Fanno parte di questa comunità i comuni di Roghudi, Roccaforte del Greco, Bova e Condofuri con le prestigiose e tipiche frazioni di Amendolea e di Gallicianò. L’emigrazione massiccia e l’incomprensione della cultura italiana, indussero i Greci di Calabria a rinunziare alla loro tradizione ma per fortuna, grazie ad un gruppo di studiosi, si riuscì a conservare i costumi e la parlata greca. Diversi movimenti e associazioni di valorizzazione della cultura regionale, comprese che tali minoranze andavano tutelate e tra le tante iniziative per la conservazione del grecanico, sono significativi gli incontri avuti durante questi ultimi anni, tra i Greci di Calabria e i Greci della Grecia, avvenuti sia in Calabria che oltre lo Jonio. A tale proposito da segnalare il gemellaggio effettuato con il Comune di ALIMOS presso Atene, direttamente voluto dalla chiesa ortodossa ed in particolare dai monaci del monte Athos, per poter praticare il rito cristiano ortodosso a Gallicianò. Importanti sono le iniziative promosse dal FESTIVAL DELL'ARTE MUSICALE GRECANICA, dai molti convegni di studi e di dialettologia che ogni anni si organizzano, fino ad arrivare ai confronti folkloristici e alla poesia dialettale greca. Si stima che tutt’oggi, siano circa 2500 le persone che mantengono ancora viva la tradizione del Greco di Calabria in tutta la comunità.
LA LOCALITA’
Gallicianò dista circa 54 Km da Reggio Calabria, arrivati nel Comune di Condofuri Marina si imbocca il bivio per Amendolea – Chorio fino all’altezza del ponte Mangani. Mantenendo la sinistra si percorrono altri 7 Km di panoramica salita fino ad arrivare nell’unico spiazzo disponibile per lasciare le auto e proseguire a piedi.
La frazione, isolatissima, conta quasi 300 abitanti, spesso è tagliata fuori dalla civiltà per le molteplici frane che si ripercuotono durante gli inverni. Il paesino, ricco di vegetazione quali il mandorlo, la ginestra e il ficodindia, è affacciato su un balcone di roccia che domina la fiumara dell’Amendolea, dedito fin dall’antichità alla pastorizia e all’agricoltura, se ne avrete l’occasione, vale la pena di assaggiare la ricotta… Sopravvive ancora oggi l’artigianato tessile e dell’intaglio in legno, infatti secondo le antiche tradizioni, vengono lavorate la ginestra e la lana con i motivi ornamentali dei rombi e delle croci, spesso contornate da rettangoli e quadrati. Chi percorre le stradine di Gallicianò, resterà affascinato dagli odori e dai panorami mozzafiato verso la vallata e la montagna, sia per la particolarità che assumono i colori all’alba e al tramonto, sia per l’ospitalità profusa dai suoi abitanti che spesso, intrattengono il turista con canti tipici suonati da strumenti musicali costruiti proprio da loro come le ciaramelle e il tamburello
LA STORIA
Gallicianò già sede municipale verso la fine del 700, è frazione del Comune di Condofuri, situato a 620 m. s.l.m., su uno sperone roccioso del versante destro della fiumara dell’Amendolea che nasce presso Montalto (m. 1956), attraversando i territori di Roccaforte, Roghudi e Condofuri per poi sfociare nel Mar Jonio. Il documento più antico sul paesino, risale all’anno 1060, tuttavia è la lingua a fornire elementi cronologici più antichi, infatti, per la terminologia, risaliamo all’VIII sec. a.C. Si pensa che Gallicianò sia stato fondato dagli abitanti di Amendolea, desiderosi di spostarsi verso l’interno per migliorare le loro condizioni di vita e per sfuggire alle incursioni dei turchi, che presentavano una vera e propria minaccia per i villaggi costieri e collinari.
Nel 1783 fu gravemente danneggiato dal terremoto ma riuscì a mantenere la sua prima struttura paesistica. Le alluvioni del 1951 e del 1957, costrinsero molti abitanti di Gallicianò ad abbandonare il paese . Oltre al terremoto e alle alluvioni, si susseguirono epidemie ed incendi, che determinava il progressivo abbandono delle attività agricole e pastorali, con conseguenti perdite demografiche. I Gallicianesi però, nonostante tutto, ancora oggi vivono con tutte le loro forze grazie al recupero dell’identità grecanica, cercando di sopravvivere.
COSA VEDERE
Di pregevole importanza è la Chiesa di San Giovanni Battista risalente al 700. Interessanti sono l’ex Palazzo Municipale, le maschere apotropaiche, un marmo raffigurante Pitagora con l’incisione “Gnoti se autori” dono proveniente da Salonicco e il ruderi del monastero greco. In cima al paese, sorge la chiesetta dedicata alla Madonna della Grecia che di recente, è data in affidamento ai monaci del monte Athos che reggono il monastero di San Giovanni Therestis a Bivongi.
 All’interno vi è l’icona (cm 21 x 30) che rappresenta la Madonna della Grecia, mentre al suo esterno, emerge un semplice campanile circondato da antiche abitazioni abbandonate, ora in via di restauro. Non possono mancare gli scorci panoramici che si possono ammirare da questa altezza, infatti per la posizione geografica, Gallicianò sembra guardare nostalgicamente verso la Grecia, con gli occhi ed i cuori di chi, ancora oggi, ha scelto di testimoniare e di difendere ad ogni costo, questo “eremo naturale”.



@ Carmelo PULEIO


Alla scoperta di Castroreale borgo in Sicilia on The Road

Un delizioso Sabato in Sicilia, alla scoperta di CASTROREALE (ME) secondo classificato dei Borghi 2018 Vacanze Ovunque Dreams Road con un percorso di partenza dalla piana degli ulivi on the road ha fatto raggiunto le propaggini dei monti Peloritani, in una posizione invidiabile che offre ai visitatori un delizioso panorama a 360° CASTROREALE racchiude in ogni suo angolo una sintesi preziosa di arte e natura. Le sue origini secondo una antica legenda risalirebbero a parecchi secoli prima della nascita di Cristo, quando un Re di nome Artenormo, venuto dal Medio Oriente, fondò su una delle colline vicine al sito attuale,una città che, in onore della figlia chiamò Artemisia . Successivamente Castoreo, sposo di Artemisia, costruì un nuovo insediamento , KRASTOS, che nel tempo cambiò il suo nome prima in Crastina e poi in Crizzina.
Nel 1324 la roccaforte ebbe il titolo di città demaniale mentre nel 1492 quando gli Ebrei vennero cacciati dai domini Spagnoli, per volontà di FERDINANDO II Della Giudecca venne costruita una Sinagoga proprio ai piedi del castello, interessante il quartiere ebraico.


Segnaliamo la ricchezza del patrimonio artistico, infatti Castroreale è Città d’Arte, per gli splendidi panorami, e le suggestive stradine e piazzette che hanno ispirato poeti e scrittori.
Interessante il PICCOLO MUSEO DELLA MOTO.


Un grazie particolare per l’accoglienza e per la professionalità della guida turistica e del Direttore del Museo della Moto.
Altra Tappa THYNDARIS con Il santuario di Maria Santissima di Tindari o santuario di Tindari o santuario della Madonna Nera o primitiva cattedrale di Tindari Sorge sulla sommità del colle omonimo e domina i laghetti di Marinello inseriti nell'omonima riserva naturale orientata.
L'edificio attuale identifica e ricopre l'area ove è documentata la primitiva fortezza o castello di Tindari. L'ipotesi dell'esistenza della fortezza o castello di Tindari è supportata dalla presenza di merli o coronature nei preesistenti edifici di culto che rafforzano la tesi di antiche chiese ricavate in primitivi edifici fortificati
Si rientra ON THE ROAD felici di aver trascorso una meravigliosa giornata ricca di forti emozioni.

@ Carmelo PULEIO

Fiumefreddo Bruzio un borgo da percorrere in moto addons Paola e San Lucido

Il Giornale di Bordo di Vacanze Ovunque Dreams Road oggi ha scritto una nuova tappa On The Road Abbiamo Visitato PAOLA - SAN LUCIDO - FIUMEFREDDO BRUZIO.


Dopo aver visitato il Santuario di San Francesco di Paola, meritevole apprezzamento del Centro storico, come valore aggiunto per il rilancio culturale, turistico e commerciale dell'appeal complessivo della Città. 




Visita a SAN LUCIDO nota anche per il tufo bianco che si estrae dai suoi monti, per il fico d'india (un ventennio fa molto diffuso in tutta la zona bassa del paese) e i capperi che crescono naturalmente sulla rocca. Ed infine FIUMEFREDDO BRUZIO uno dei più belli Borghi Italiani 




Un'escursione in moto a Fiumefreddo Bruzio è un'ottima idea per godersi il paesaggio e il vento tra i capelli! Ti posso dare alcune note tecniche e consigli utili per rendere l'esperienza ancora più piacevole e sicura. 

Itinerario e percorso:
L'itinerario tipico parte da zone come Cosenza, Reggio Calabria o altre località della Calabria e si dirige verso Fiumefreddo Bruzio, un affascinante borgo marinaro. La strada principale è la SS18, che offre tratti panoramici lungo la costa e attraversa paesaggi mozzafiato tra mare e colline. La distanza può variare, ma in genere si tratta di un tragitto di circa 50-80 km, a seconda del punto di partenza.

Difficoltà e caratteristiche del percorso:

  • Strade asfaltate, generalmente in buone condizioni, ma con tratti curvilinei e alcune salite/discese.
  • La presenza di curve strette e tornanti richiede attenzione e buona tecnica di guida.
  • Alcuni tratti potrebbero essere soggetti a traffico, specialmente nei periodi di alta stagione o nei weekend.

Note tecniche:

  • Velocità consigliata: moderata, rispettando i limiti di velocità e le condizioni della strada.
  • Condizioni meteo: preferibile evitare in caso di pioggia o nebbia, poiché le strade possono diventare scivolose.
  • Attrezzatura: casco integrale, giacca protettiva, guanti, pantaloni rinforzati e stivali. Ricorda di controllare lo stato della moto prima di partire (pneumatici, freni, luci, olio).
  • Soste e punti di interesse:
    • Fermate lungo la costa per ammirare il mare e scattare foto.
    • Visita al centro storico di Fiumefreddo Bruzio, con il suo castello e le stradine caratteristiche.
    • Possibilità di fare una pausa in uno dei ristoranti o bar sul lungomare.

Consigli pratici:

  • Partire al mattino presto per evitare il traffico e godersi le ore di luce.
  • Portare con sé acqua, snack e protezione solare.
  • Verificare le condizioni del traffico e del meteo prima di partire.
  • Rispetta sempre le norme di sicurezza e guida con prudenza, specialmente sui tornanti e nelle zone più strette.

Fiumefreddo Bruzio è ubicata lungo la costa del mar Tirreno nella parte meridionale della provincia di Cosenza e confina a nord con Falconara Albanese ed a sud con Longobardi Marina.Meritevole il centro storico, poco interessante il Castello. Un'altra giornata on the Road è trascorsa ....appuntamento alla prossima tappa.


@ Carmelo PULEIO

martedì 22 aprile 2025

Escursione a Pietra Cappa - nel cuore dell'Aspromonte

 ESCURSIONE A PIETRA CAPPA nel Cuore dell'Aspromonte


Pietra Cappa è un'esperienza davvero affascinante e ricca di natura. Immagina di partire tra i sentieri immersi nel verde, circondato da boschi di pini e querce, con l'aria fresca e profumata di natura. La camminata ti porta attraverso paesaggi mozzafiato, con viste panoramiche sulla vallata e sul mare in lontananza.



Arrivando a Pietra Cappa, ti trovi di fronte a una formazione rocciosa imponente, che si erge come una vera e propria fortezza naturale. La vista da lì è spettacolare: puoi ammirare il paesaggio circostante, con le montagne dell'Aspromonte che si estendono all'orizzonte e il mare che brilla in lontananza. È un luogo perfetto per fare una pausa, scattare qualche foto e goderti la tranquillità della natura.

L'escursione è adatta a chi ama camminare e scoprire paesaggi selvaggi e autentici. Ricorda di portare con te acqua, scarpe comode e magari una macchina fotografica per catturare i momenti più belli. È un'esperienza che ti permette di immergerti nella natura e di scoprire uno dei luoghi più suggestivi dell'Aspromonte !




Itinerario e percorso:

L'escursione parte generalmente dal villaggio di Montalto o da altri punti di accesso alle aree interne dell'Aspromonte. Il percorso può variare, ma tipicamente si tratta di un trekking di circa 4-6 km andata e ritorno, con un dislivello di circa 300-400 metri. La salita verso Pietra Cappa è abbastanza ripida in alcuni tratti, quindi è consigliabile un buon livello di preparazione fisica.

Difficoltà:
Moderata, adatta a escursionisti con esperienza di trekking su terreni montani. La presenza di tratti rocciosi e sentieri non sempre battuti richiede attenzione e scarpe da trekking robuste con buona aderenza.

Terreno:
Il percorso si snoda su sentieri sterrati, tratti rocciosi e alcuni tratti di bosco. La superficie può essere scivolosa in caso di pioggia, quindi è importante valutare le condizioni meteo prima di partire.

Attrezzatura consigliata:

  • Scarpe da trekking con buona aderenza

  • Zaino con acqua (almeno 1-2 litri) e snack energetici

  • Cappello e crema solare (per proteggersi dal sole)

  • Giacca leggera impermeabile (in caso di cambiamenti climatici)

  • Mappa o GPS (per orientarsi sui sentieri meno battuti)


Punti di interesse:

  • La formazione rocciosa di Pietra Cappa, che si erge come una vera e propria fortezza naturale

  • Panorami mozzafiato sulla vallata e sul mare in lontananza

  • La flora e fauna tipiche dell’Aspromonte, tra cui pini, querce e diverse specie di uccelli

Consigli pratici:

  • Partire al mattino presto per sfruttare al meglio la luce e le temperature più miti

  • Verificare le condizioni meteo prima di partire, evitando escursioni in caso di pioggia intensa o nebbia

  • Rispettare l’ambiente naturale, portando via i rifiuti e mantenendo i sentieri puliti

    @ Carmelo PULEIO

domenica 28 gennaio 2024

CURINGA dentro le sue bellezze

 CURINGA (CZ) 

Una perla nella piana lametina dal fascino Mariano dedito a siti riconducibili al Profeta Elia e alla Madonna del Carmelo, un delizioso paese ricco di storia e apprezzabili scorci nella Valle dell'Amato.

Tra le bellezze della Calabria, che siano architettoniche, storiche o naturalistiche, c’è un luogo incastonato nel verde tra Pizzo sulla Costa degli Dei, in provincia di Vibo Valentia, il Golfo di Sant’Eufemia e la piana di Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro. Stiamo parlando del caratteristico e antico borgo di matrice Medievale di Curinga, circondato da uliveti e vigneti, che arroccato da lassù osserva il mare, le catene montuose delle vicine Serre e custodisce il millenario Platano e l’affascinante Eremo di Sant’Elia

inserito tra i borghi di eccellenza della Regione Calabria, peraltro è il primo Comune sostenitore del FAI (Fondo Ambiente Italiano) CURINGA Offre paesaggi e caratteristiche ambientali variegate: boschi di faggi, lecci, querce e abeti sono presenti in alta collina. In località Vrisi si può ammirare il Gigante Buono, un platano orientale millenario monumentale (Platano orientale di Vrisi), tra i più grandi d'Europa, mentre il pioppo nero più grande d'Italia si trova poco più a valle, proprio all'ingresso del borgo. Per questo motivo Curinga è conosciuta anche come"il paese dei due giganti" purtroppo il secondo non ha avuto una buona salute e da qualche anno non c'è più.




Qui vi sono ovunque tracce di un glorioso passato, tra antiche mura e suggestivi sepolcri, inoltre nella vicina frazione Acconia, colonne e resti monumentali di un grande edificio termale di epoca romana, testimoniano l’antichità di quest’area Curinga, secondo il parere di alcuni storici, ha origine da un'antica città chiamata Lautonia probabilmente da Lattone (falsa divinità della caccia collegata all'abbondanza di selvaggina dei fitti boschi che un tempo erano intorno all'abitato).Il paese si divide in più zone, ospita vecchi portali in pietra che impreziosiscono le antiche case gentilizie tra le viuzze assolate del centro storico, che si mescolano al profumo e alla bellezza dei balconi fioriti, addobbati secondo l’antica usanza.Nella parte bassa di Curinga, vi sembrerà di essere sospesi tra terra e cielo quando andrete a visitare il bellissimo Santuario di Maria SS del Carmelo poiché, isolato dal resto del borgo e collocato su un piccolo altopiano, offre un terrazzo dalla vista mozzafiato sul golfo! Oltre al Santuario, edificato verso la metà del '600, vi sono anche il cimitero sotterraneo e il convento, di cui resta soltanto un'ala. Soffermandoci nell’area cimiteriale, il luogo è scavato nella roccia arenaria e comprende tre piccole zone che culminano con due pozzi circolari. Ai margini del pozzo vi sono dei sedili cavi, dove i cadaveri venivano fatti sedere e agganciati alle spalle, aspettando il processo di “purificazione” (secondo il credo religioso) e di mummificazione, poiché i liquidi corporei scendevano lungo il centro del pozzo e della vittima non rimanevano che ossa, poi da seppellire. Non lasciatevi impressionare! È tempo di risalire verso la parte alta di Curinga!Oltrepassato il paese, vi è una parte ancora più antica dove si trovano i suggestivi ruderi dell’Eremo di Sant’Elia. Percorriamo a piedi una piccola stradina in salita e si apre davanti a voi un'ampia radura, qui verrete immediatamente catapultati indietro nel tempo fino al IX secolo circa, quando i Bizantini si trovarono ad affrontare le invasioni degli Arabi. Il Monastero fu fondato dai monaci basiliani, ma nel XVII secolo, passò in mano ai monaci carmelitani (un ordine siciliano) che continuarono a modificare la struttura ma senza mai terminarla. L’area, oltre alla chiesetta integra e completa anche di cupola, è costituita da altre strutture esterne semi-distrutte ma altrettanto suggestive. Questo luogo attira i viaggiatori, non solo per la sua bellezza ma anche per la misteriosa leggenda nata dopo il ritrovamento di una tomba all’interno della Cappella interna, negli anni ‘90. Gli studiosi, al momento del ritrovamento, credettero subito di essere in possesso dei resti di Fra Giovanni Giacomo Tagliaferro, il fondatore del monastero. La realtà però fu ben peggiore e misteriosa, visto che i resti rinvenuti appartenevano a due donne, sepolte insieme e morte probabilmente violentemente a giudicare dalle fratture alla testa e alle gambe.Ancora oggi non è stato possibile riuscire a dare una spiegazione reale a questo ritrovamento. Leggende macabre a parte, dall’area dell’Eremo ritorniamo sulla strada principale e poco più avanti entriamo nel bosco adiacente, attraverso un sentiero ben curato scenderete lungo la montagna fino ad arrivare al Gigante Buono di Curinga: il Millenario Platano! Mille anni e non sentirli, dato che la sua crescita maggiore è avvenuta negli ultimi 10 anni, alto 31 metri e largo 15, la sua particolarità sta nell’interno completamente cavo. Pazzesca l’atmosfera boschiva che qui si respira, cullati dal solo rumore della brezza, dal canto degli uccellini e dal rilassante suono dell’acqua del torrente. Il grande Platano, Re indiscusso della foresta, pare che inizialmente non fosse stato piantato dove si trova oggi, ma più in cima e con l’erosione del terreno, per le piogge e le frane, sia “scivolato” lungo il pendio per stanziarsi definitivamente nel posto odierno. È proprio qui che scorreva la sorgente Vrisi (dal greco Brusis sorgente”) acqua di cui i monaci usufruivano e la leggenda parla chiaro, poiché furono proprio loro a piantare quest’albero che grazie al suo tronco cavo, capace di ospitare molte persone, è servito come punto di riparo anche per contadini e pastori. Intorno a Curinga, oltre alla sua frazione Acconia, a pochi chilometri a sud ci troviamo nella zona della meravigliosa Oasi del lago Angitola, mentre poco più a nord, vi sono i deliziosi paesi di Jacurso e Cortale, dove, come a Curinga, vi è l'attività dell'artigianato, soprattutto lavorazioni tessili.





Carmelo PULEIO